Dakhla

Dakhla
Flat water area

sabato 30 gennaio 2016

Il deserto del Saharawi - un luogo alla fine del mondo.

Il deserto è dove il mondo si riduce ai minimi termini, è la distesa di sabbia sotto il cielo, l'assenza di rumore, l'assenza apparente di vita. 
Quando ci arrivi anche i tuoi pensieri iniziano ad assottigliarsi. Pian piano perdono le interferenze e le linee del loro svolgersi diventano più chiare, ti sembra di arrivare all'essenza, senza distrazioni. 
Ecco perché è bello andarci (nel deserto). Anzi, sarebbe bello farlo di quando in quando, per guardarsi un po' più da vicino, sentire ogni respiro e il tempo che si allunga all'infinito, chissà verso dove...

Dakhla
 è una distesa di 600 chilometri di costa selvaggia e disabitata, è un viaggio in auto lungo un giorno puntando da Agadir verso sud, 1.700 chilometri scendendo sulla costa marocchina per entrare nel territori del Sahara Occidentale, l'estremo lembo del deserto più grande del mondo.

È una penisola stretta tra l'oceano e la terra più arida, è una manciata di case rettangolari, che vedi dall'alto atterrando in aereo. Non belle, ma raccontano un incontro: uomo e natura. Dakhla è una meta, è l'unico luogo nel mezzo del niente, quindi un punto di arrivo, non un passaggio. 


IN CERCA DI LIBERTÁ

Esisteva già nel Cinquecento, quando gli spagnoli dalle Azzorre si spingevano attraverso l'Atlantico fino a queste coste deserte. Nel 1884 era la capitale della colonia spagnola del Rio de Oro, in epoca più recente è passata alla Mauritania, poi liberata dal Fronte Polisario del popolo saharawi, e quindi nel 1985 sotto il controllo del Marocco. È un luogo di confine in tutti i sensi, meta per nomadi antichi e moderni: le genti del Sahara, i marocchini dl nord che qui si costruiscono una nuova vita, i pensionati europei in camper che inseguono il sole tutto l'anno, i turisti in cerca di libertà, il popolo del surf e kite surfcolonie immense di fenicotteri rosa e uccelli migratori.
Dakhla è una meta, è l'unico luogo nel mezzo del niente, quindi un punto di arrivo, non un passaggio.

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I kitesurfisti sono i moderni colonizzatori: sono loro che raggiungono luoghi che pochi altri hanno solo sentito nominare. Sono stati anche i primi "turisti" ad arrivare anche su questa penisola che si affaccia da un lato sull'Atlantico e dall'altra su una laguna di acque piatte ma dal vento costante. La maggior parte degli hotel sono nati come surf-camp. Di giorno surfi, di sera ti trovi al bar per bere un cocktail, o attorno a un fuoco sulla spiaggia, o davanti al tramonto per mangiare le ostriche di Dakhla (che qui crescono 3-4 volte più velocemente delle altre) o per cene di pesce che questo mare, la cucina e l'accoglienza marocchina sanno far diventare eccezionali.

Giovani (dai 20 ai 40 anni), rilassati, si trasferiscono qui per mesi, per vivere la vita come gli piace, essenziale, di sport e natura. Ma le cose stanno cambiando. Dakhla si vuole rilanciare come meta per tutti, e sono stati aperti i primi "hotel per turisti", protetti dal vento, con sdraio e piscina che affacciano sul mare e camere di charme. Non fraintendete: Dakhla rimane un posto dove c'è poco, e forse niente. Il mare è oceano, la città ha una strada commerciale con qualche bar e pochi negozi, i ristoranti sono quelli degli hotel. Quindi perché già tre anni fa, nel 2012, anche il New York Times la definiva un luogo da non perdere? Forse perché Dakhla è - adesso, e forse ancora per poco - un viaggio alla fine del mondo, capace di portarti in quello spazio sottile ed evanescente tra civilizzazione e natura selvaggia, dove l'oceano e la terra e il cielo hanno molto, molto, più spazio dei piccoli edifici di cemento della città.

Un luogo per esplorare l'entroterra alla ricerca delle gazzelle, o navigare sul mare verso Dragon Island per incontrare una foca monaca o dei delfini sousa, per andare alla ricerca delle sorgenti termali e per seguire con la jeep le piste del deserto, verso le Dune Bianche, dove la sabbia e l'acqua non hanno più un confine preciso.

Lì, in quell'assenza, i segni del mondo si amplificano. I tuoi passi sulle dune sono le uniche tracce umane, che si affiancano a quelle di piccole lucertole, topini, cammelli, il mare è un orizzonte incontaminato, nel cielo gli stormi di uccelli sono annunciati dal suono ritmico e ampio delle loro ali, e anche iltuo respiro riprende forza, suono. È chiaro, lo senti che dà il passo alla tua vita. Ho corso dalle dune fino a un lago lontano che sembrava un miraggio, le distanze avevano un nuovo senso, la tua conquista di ogni metro una prova di libertà, il tuo corpo diventava la tua essenza, una sensazione mai provata. Quella corsa è valsa il viaggio.

Estratto da articolo di Paola Manfredi su Vanity Fair

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